L’entusiasmo, la voglia di avventura e il desiderio di mettersi alla prova sono le basi per concretizzare quanto imparato in un corso di alpinismo. Vedere che nozioni e tecniche insegnate portano una persona ad avventurarsi con consapevolezza nel mondo dell’alpinismo è la più grande soddisfazione per tutti noi.
Carlo ci racconta la sua estate dopo aver frequentato in primavera il corso di alpinismo.
“E sono di nuovo qui a scrivere qualcosa sulle mie esperienze. È passato un po’ di tempo da quando me l’hanno chiesto.
È stata un’estate intensa, piena di nuove esperienze, di nuovi amici, di nuovi compagni. Ho imparato molto e visto posti magnifici, fatto cose che non immaginavo neanche di poter fare, che mi hanno portato ad avere una consapevolezza che non avevo mai avuto, ed un grande senso di rispetto e sano timore per la montagna: insomma in certi posti non puoi scherzare e prendere le cose con leggerezza, sono le regole del gioco d’altronde.
Tre creste tra le più belle delle Alpi: la traversata dei Breithorn, la cresta Kuffner al Mont Maudit e la cresta Signal sul Monte Rosa.
Tre creste via via più impegnative, più faticose, più lunghe, più solitarie, più vecchio stile.
Erano i primi di luglio, appena finito il corso di alpinismo, quando Lorenzo mi chiama per andare a fare la traversata dei Breithorn. Ovviamente accetto! Sarò in grado? Penso che praticamente non conosco Lorenzo; lui però si fida di me e decide di legarsi ad un quasi sconosciuto, bello! Lo zaino è pronto, io anche e arriva il fatidico giorno. Partiamo in mattinata e arriviamo tardi a Cervinia, chissà perché abbiamo fatto tutta la strada in statale…?
Prendiamo la funivia e saliamo al Plateau Rosà, nel viaggio conosciamo due americani alquanto bizzarri che si allenano per il Cervino, entrambi rimaniamo perplessi nei loro riguardi.
È ormai il primo pomeriggio, fa caldo, ci avviamo verso il bivacco Rossi-Volante dove conosciamo altra gente, anch’essa bizzarra… sarà la montagna.
Fra una chiacchera e l’altra si fa presto sera e altrettanto presto si fanno le quattro del mattino. Ci incamminiamo, la quota all’inizio si fa un po’ sentire ma nulla di che e sempre altrettanto presto tutto finisce, arrivo a casa. La casa, quel posto tanto sognato durante le fatiche dell’ascesa ma che ora mi sento stretta e subito mi perdo a sognare le prossime salite, le prossime vette, le prossime avventure.
Prossime salite che non tardano ad arrivare, è il momento della famosa cresta Kuffner.
A noi due si aggiunge anche Gianda e con lui un pizzico di avventura: dormiremo in tenda sul ghiacciaio a quasi 4000 metri, sempre meglio penso io!
È sabato ed arriviamo a punta Helbronner, sembriamo dei marziani in mezzo a tutti i turisti.
Piantiamo la tenda poco distante dal rifugio Torino, mangiamo quel poco che abbiamo e riesco anche a dormire quelle poche ore a disposizione. La sveglia è puntata all’una di notte, decisamente presto. Inesorabilmente suona e lentamente ci alziamo e iniziamo a prepararci, sembriamo fiori di inizio primavera che spuntano lentamente, timidi, dalla neve.
Un po’ svogliati dall’ora usciamo da quel luogo che è stato il nostro rifugio, la nostra casa per una notte, la tenda, dove ci siamo sentiti protetti dai pericoli della notte, da tutto quello che ci circondava. Ci leghiamo e Lorenzo apre la strada, ma ha la frontale scarica e gli presto la mia. Sarò costretto ad avanzare un pò a tentoni fino alle prime luci dell’alba.
Passano sei ore credo e dopo canali gelati, fili di cresta, freddo, arrampicata con i ramponi, i colori rassicuranti dell’alba che ci inondano, usciamo dalla via sul Maudit. Mi sento stremato ma mancano ancora sei ore prima di arrivare alla tenda, mi faccio forza e vado avanti.
Ad un certo punto mi trovo piacevolmente sorpreso a pensare ai primi alpinisti che hanno salito queste cime, avvolti, schiacciati, impotenti di fronte alla maestosità e l’imponenza di queste cime. Comprendo sempre di più cosa li attraesse e cosa continua ad attrarre migliaia di alpinisti che tornano come per salutare un vecchio amico.
Si scrive un’altra pagina di questa estate, alla quale si aggiunge un’altra persona: Edo, e se uscito dalla Kuffner ero stremato, uscito dalla Signal sono morto. Più di 3000 metri in due giorni. Il primo giorno 2100 metri tra vallate verdeggianti prima e grigie pietraie e bianchi nevai dopo, per arrivare alla capanna Resegotti, rossa, unico punto di colore in mezzo a tutto quel grigiore. Il secondo giorno invece “solo” 900 metri. Metri che sembrano chilometri, lunghi, difficili, trafficosi, a volte pericolosi, sempre con in vista la capanna Margherita che però, come un miraggio, non si avvicina mai.
Ci mettiamo nove ore ad uscire e ad arrivare finalmente alla Margherita. Sono nove lunghe ore, dopo le quali, una volta arrivato in cima, una volta che il mio corpo ha iniziato a rilassarsi e la mente ha realizzato quello che avevo appena fatto, ha preso il sopravvento la commozione.Non so perchè, so però che in quel mondo mi sentivo bene. In quegli stessi luoghi spesso raccontati da mia nonna e nel mio immaginario sempre un po’ magici. Mi sono goduto lo spettacolo da lassù anche un po’ per lei. Purtroppo questo momento magico dura poco perché dobbiamo scendere di corsa alle funivie.
Una volta tornati ad Alagna ci beviamo la nostra meritata birra in compagnia dei ragazzi che hanno percorso con noi la via e tutto finisce così, semplicemente, potremmo dire vecchio stile: un bicchiere, degli amici, dei compagni attorno ad un tavolo a ridere e chiaccherare. Una bella via; bei panorami; la Montagna con la M maiuscola che non è solo un ammasso di roccia che si scala ma è tutta l’atmosfera, lo stile di vita che si crea intorno; tanti bei ricordi e il pensiero che va subito alla prossima avventura.
Alla fine com’è semplice essere felici, non credete?
“La montagna ha il valore dell’uomo che vi si misura, altrimenti, di per sé, essa non sarebbe che un grosso mucchio di pietre”
Walter Bonatti
Carlo Landone